L'incidente del Gottardo, che ha paralizzato il traffico merci tra nord e sud Europa, ha acceso dubbi sull'efficienza e l'affidabilità dei trasporti intermodali. La ferrovia, nella storia recente, ha subito altri gravi disagi, primo fra tutti lo svio avvenuto nell'agosto del 2017 a Rastatt, in Germania. All'epoca il transito ferroviario aveva subito un blocco totale per diverse settimane, la linea Karlsruhe-Basilea rimase chiusa per 51 giorni e ancora oggi, dopo sei anni, i lavori di ristrutturazione non sono ancora terminati.
Secondo i piani di ricostruzione elaborati nel 2019, la fine dei lavori a Rastatt era prevista per il 2025 ma oggi le ferrovie tedesche DB prevedono un rinvio almeno fino alle metà del 2026. I danni procurati dal disastro, secondo un'indagine commissionata dalle associazioni ferroviarie Erfa e Nee e dall'Associazione internazionale per il trasporto combinato strada-ferrovia, ammontarono a 2.048 miliardi di euro di cui 969 a carico degli operatori logistici ferroviari, 771 sulle società manifatturiere e 308 necessari al ripristino dell'infrastruttura.
Recentemente, la Corte dei Conti Europea ha pubblicato una relazione speciale sullo sviluppo della rete intermodale, evidenziando importanti lacune infrastrutturali e normative che, di fatto, riducono l'attrattività del settore rispetto alla soluzione camionistica. In primo luogo, la relazione ha rilevato la mancanza di una strategia europea riservata all'intermodalità, che appare oggi parte di un progetto per la decarbonizzazione più ampio ma non sufficientemente specifico da garantire efficienza al settore. L'UE ha inoltre definito obiettivi precisi per l'aumento dell'utilizzo di ferrovie e vie navigabili senza tuttavia vincolare in alcun modo i propri stati membri, liberi di scegliere programmi non allineati a quelli di Bruxelles.
La Corte, proseguendo nell'analisi, ha definito irrealistico e irrealizzabile l'obiettivo di raddoppiare il traffico su rotaia entro il 2030 ed ha evidenziato come i calcoli effettuati dall'UE siano stati fuorviati da errori di valutazione. Nel Libro Bianco del 2011, un documento ufficiale utilizzato dalla Commissione Europea per proporre i propri piani di sviluppo, sono stati ipotizzati treni della lunghezza di 1500 metri, mentre l'attuale regolamento Ten-T prevede il requisito massimo di 750 metri.
Alcune norme e direttive sono inoltre obsolete, come l'obbligo risalente al 1992 di redigere documenti cartacei, timbrati dalle autorità ferroviarie o portuali, che devono essere a bordo del treno per tutto il tragitto quando la tecnologia suggerirebbe di autorizzare un moderno flusso di lavoro digitalizzato. Vari tentativi di revisione della direttiva da parte della Commissione Europea non hanno trovato il parere favorevole degli Stati membri e, al contempo, altre disposizioni normative contravvengono all’obiettivo di incentivare l’intermodalità. I lavori di manutenzione sulle linee ferroviarie, per esempio, avvengono obbligatoriamente di notte per non essere d'intralcio alla circolazione passeggeri, con gravi ripercussioni sul traffico merci.
Ci sono inoltre regole che impongono ai treni di fermarsi alle frontiere, come la direttiva 2007/59/CE che richiede il controllo frontaliero sulle certificazioni dei macchinisti. All'interno dell'area Schengen, invece, i trasportatori su gomma non sono tenuti a fermarsi in dogana, se non per controlli straordinari.
Il rapporto pubblicato contiene anche un'analisi sulla densità dei terminal intermodali presenti in Europa che evidenzia un'alta concentrazione in Germania, Olanda e Belgio (con oltre cinque terminal per 10mila chilometri quadrati) e una presenza inferiore in tutto il resto del territorio. Il Regolamento Ten-T non richiede nemmeno una raccolta di informazioni sulla digitalizzazione delle infrastrutture dei terminali né tantomeno un’analisi dell’adeguatezza dei terminali intermodali esistenti alla gestione dei flussi di traffico attuali e potenziali né del fabbisogno di terminali futuri.
Lo scetticismo sullo sviluppo del traffico su binari è stato anche recentemente confermato dalle associazioni di settore Uirr, Cer e Erfa che, in una dichiarazione congiunta, hanno etichettato la strategia attuata finora come irrilevante e inefficace. Nel mese di luglio l'UE ha infatti annunciato le misure contenute nel programma Greening Freight Transport Package e, tra le più criticate, c'è la modifica della direttiva pesi e dimensioni (Wdd) che consentirà la circolazione di rimorchi gigaliner, più lunghi e pesanti di quello attuali, che potrebbe aumentare ulteriormente il divario tra strada e ferrovia e che sembra un autogol clamoroso nell'ottica di un futuro sostenibile.
Nel comunicato le associazioni hanno anche espresso perplessità per la scarsa attenzione riservata al trasporto stradale a breve distanza, parte integrante del trasporto combinato, e hanno invitato la commissione europea ad intervenire con le opportune rettifiche. Anche la Corte dei Conti, a conclusione del rapporto elaborato, ha sentenziato che il sostegno normativo e finanziario dell’UE al trasporto merci intermodale non è stato sufficientemente efficace e che oggi il trasporto su rotaia non può ancora competere alla pari con quello via strada, peraltro recentemente destabilizzato dall'introduzione del pacchetto mobilità.
Nonostante l'aumento drastico dei costi operativi legati al pacchetto, direttamente riconducibili alla volontà dell'UE, all'aumento del prezzo del carburante e dei pedaggi in molti Stati europei, il trasporto stradale rimane oggi la via più percorribile per le imprese esportatrici. Considerando che l'efficienza dei camion elettrici su lunghe tratte è tutt'altro che assodata e che i carburanti alternativi come il bio-diesel sono ancora utilizzati in modo marginale, la decabornizzazione dei trasporti appare come un obiettivo utopico la cui realizzazione passa anche attraverso l'indebolimento indotto del trasporto camionistico.
Marco Martinelli