I Finanzieri la hanno soprannominata operazione Emiro Vesuviano, dove l'emiro sarebbe un imprenditore di San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, operante nel commercio di carburanti che secondo gli inquirenti avrebbe attuato una frode fiscale che gli avrebbe permesso di evadere dieci milioni d’Iva. Al termine dell’indagine, la Finanza napoletana ha sequestrato beni per una somma analoga e ha applicato all’uomo gli arresti domiciliari. La nota della Finanza cita la società Pa.Gi. Carburanti, che avrebbe dichiarato costi fittizi per 44 milioni di euro.
La ricostruzione del Gruppo Gruppo Tutela Entrate del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli ritiene che questa società sarebbe al centro di una rete di società “fantasma” con sede sull’intero territorio nazionale e intestate a “soggetti compiacenti”. La rete sarebbe formata da ben cinquanta imprese, costituite negli ultimi quattro anni che avevano lo scopo di dichiarare transazioni commerciali mai realmente avvenute. Grazie a questo sistema, la Pa.Gi. Carburanti è diventata una delle più importanti del suo comparto in Campania, “sbaragliando la concorrenza ed alterando l'intero mercato regionale”. Nel 2019, sottolineano gli inquirenti, i clienti di questa rete societaria sono stati 230.
La Finanza spiega che il meccanismo della frode è quello tipico delle società carosello: “tra il venditore all’ingrosso e il soggetto commerciale acquirente del prodotto si interpongono società cartiere (missing trader) create al solo fine di consentire ad altri operatori economici di evadere le imposte, mediante la giustificazione contabile delle cessioni di beni effettuate da ulteriori imprese, realmente operative, che vengono celate al Fisco”.
Per provare la frode, i Finanzieri hanno confrontato le quotazioni giornaliere del carburante Platt con i prezzi di acquisto della Pa.Gi. Carburanti “rilevando che il costo di vendita del prodotto alla citata società è stato nettamente inferiore rispetto a quello normalmente praticato dagli operatori all’ingrosso del settore e, in alcuni casi, anche inferiore al prezzo del primo fornitore”. Il danno di questo meccanismo cono colpisce solo l’Erario, ma anche i concorrenti, che si sono trovati a competere con prezzi di vendita fuori mercato.