Gli importatori ed esportatori italiani ritengono che affidare a controparti estere la logistica della propria merce venduta o acquistata non sia un problema. Gli spedizionieri e più in generale gli operatori della logistica in Italia cercano invece di far loro capire quali rischi corrono e quanto indotto sottraggono al Paese. Finora, però, si è assistito a un dialogo fra sordi. Si può sintetizzare così quanto emerso dai convegni online organizzati nell’ambito dell’evento Shipping Forwarding & Logistics meet Industry il cui obiettivo ogni anno è quello di mettere uno di fronte all’altro il mondo industriale, del commercio e quello della logistica.
Il rapporto “Corridoi ed efficienza logistica dei territori” presentato da Contship Italia e Srm ha evidenziato chiaramente quanto ancora oggi i processi di logistica e trasporto in Italia siano considerati dalle aziende un costo e non un valore per la competitività del prodotto stesso. L’indagine su 400 imprese del Nord Italia cui è stato chiesto se percepiscano un rischio di perdere il controllo del buon fine delle proprie vendite cedendo a operatori esteri l’attività logistica, il 90% degli intervistati considera il rischio basso, irrilevante o addirittura assente.
In export la resa di vendita Ex works (franco fabbrica) è utilizzata dal 79% delle imprese intervistate (era il 67% nell’indagine del 2019), “quindi possiamo dire che le imprese italiane tendono a cedere totalmente i costi e i rischi del trasporto al compratore”, spiega il rapporto. Ex works è il termine contrattuale meno impegnativo e meno costoso per il venditore. Il venditore non è tenuto ad occuparsi del carico delle merci nel vettore scelto dal compratore e non è tenuto nemmeno a sostenere i costi per lo sdoganamento all’esportazione. Il rischio di perimento della merce incombe totalmente sul compratore fin dalla presa in carico. Il venditore adempie alle sue obbligazioni semplicemente mettendo la merce, imballata, a disposizione del compratore nel luogo indicato (generalmente la propria fabbrica e/o magazzino). Discorso e percentuali simili valgono anche per le spedizioni in import verso l’Italia.
Il motivo di questa scelta lo raccontano gli stessi “cargo owner”: il 55% (in calo rispetto al 62% del 2019) delle imprese dichiara di considerarlo un modo efficace di “mantenere basso il prezzo”, evitando in questo modo di integrare nell’offerta i costi di trasporto a destinazione. Gli autori della ricerca Srm – Contship commentano questi risultati spiegando che “in questo modo non solo si riducono le entrate economiche per le imprese logistiche locali, ma se ne limita anche la capacità di crescere, espandendo il giro d’affari e migliorando l’efficienza operativa, attraverso il miglioramento dei processi organizzativi e una crescente specializzazione, fattori indispensabili per garantire un servizio di trasporto affidabile, anche in tempi di crisi e lockdown”.
In Italia il 73% dell’export, secondo quanto rivelato mesi da dalle Dogane, viene venduto Ex-Works contro il 30% di Paesi vicini come Francia, Germania e Spagna. Silvia Moretto, presidente di Fedespedi (la federazione nazionale degli spedizionieri), si è rivolta alle imprese elencato in quattro punti perché la scelta di vendere Ex-Works presenti dei costi nascosti: “Non conosco e dunque non controllo il prezzo dei prodotti nei mercati di sbocco”, “Non posso sapere se i servizi logistici sono all’altezza della qualità del mio prodotto”, “Non sono esente dall’assunzione di rischi riguardo al caricamento e al trasporto della merce (ad esempio ritardi nel ritiro e mancato pagamento dei noli)”, “Non possiedo la documentazione che prova l’uscita della merce dall’Ue al fine dell’imponibilità né quella relativa all’origine preferenziale”.
Il prezzo da pagare con la vendita franco fabbrica è duplice e costa sia all’esportatore che al sistema paese. In primis Moretto ha parlato infatti di “perdita di competitività per l’impresa perché la qualità e il controllo della supply chain è uno dei fattori che definisce il posizionamento competitivo dell’impresa” e di “perdita di valore per l’Italia perché delegare l’organizzazione della catena logistica al compratore estero, che si avvarrà di infrastrutture e fornitori esteri, rappresenta una perdita di opportunità di business per il nostro Paese e condiziona lo sviluppo dell’industria logistica in Italia”.
Nicola Capuzzo