Il nuovo fronte nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina sta mettendo a dura prova il settore del trasporto merci, marittimo e aereo, innescando una crisi che rischia di estendersi all’intero sistema logistico globale. Il 10 aprile 2025, il presidente Donald Trump ha annunciato un aumento dei dazi sulle importazioni dalla Cina fino al 125%, escludendo Pechino da una tregua tariffaria di novanta giorni concessa ad altri partner commerciali. Questa mossa, che segue di appena un giorno l’entrata in vigore di dazi statunitensi già saliti al 104%, rappresenta una progressione senza precedenti nelle tensioni tra le due maggiori economie mondiali.
Pechino ha reagito con l’introduzione di tariffe dell’84% sui prodotti americani e con nuove restrizioni all’esportazione di terre rare. Le Autorità statunitensi giustificano l’aumento con l’aggressività della risposta cinese, mentre il governo di Xi Jinping ha ribadito la propria volontà di “lottare fino alla fine”. Le ripercussioni di questa escalation non si sono fatte attendere e stanno già travolgendo le rotte commerciali, le banchine portuali e gli aeroporti.
Nei grandi porti cinesi – da Shanghai a Tianjin – si registrano congestioni crescenti, container in attesa e operazioni rallentate da una situazione tariffaria in continua evoluzione. Gli operatori portuali paragonano la confusione attuale a quella vissuta durante la pandemia del 2022. Allo stesso tempo, i porti della costa occidentale degli Stati Uniti, come Los Angeles e Long Beach, che dipendono in larga parte dal traffico transpacifico, stanno già rivedendo al ribasso le proprie previsioni. A Los Angeles si stima un calo del 10% nei volumi per la seconda metà dell’anno, mentre Long Beach potrebbe subire perdite intorno al 20%. Questa flessione solleva serie preoccupazioni sul piano occupazionale e sulla tenuta dell’intero comparto.
Nel giro di pochi giorni, le spedizioni di container dalla Cina verso gli Stati Uniti sono diminuite. Le aziende americane, spaventate dal costo dei dazi, stanno riducendo drasticamente gli ordini, mentre alcuni esportatori cinesi scelgono di abbandonare le spedizioni in corso pur di evitare ulteriori perdite. Secondo le stime più recenti, le prenotazioni in import verso gli Stati Uniti sono calate del 67% in una sola settimana; se si guarda esclusivamente alla Cina, il calo è del 63,5%.
Non va meglio sul fronte del trasporto aereo. L’eliminazione dell’esenzione doganale statunitense per i pacchi sotto gli 800 dollari provenienti dalla Cina e da Hong Kong prevista dall’inizio di 2025 potrà colpire duramente il traffico merci legato al commercio elettronico. Gli operatori prevedono una riduzione fino al 60% della domanda di trasporto aereo di pacchi, mettendo in crisi l’intero modello di spedizione diretta al consumatore su cui si basano piattaforme come Temu e Shein. A partire dal 1° maggio, ogni pacco postale sarà soggetto a una tariffa del 90% o a un dazio fisso di 75 dollari, che raddoppierà a 150 dollari a giugno.
Alcune multinazionali si sono mosse in anticipo. L’esempio più eclatante è quello di Apple che alla fine di marzo ha organizzato cinque voli cargo carichi di iPhone assemblati in Cina e India per anticipare l’aumento dei dazi e mettere da parte scorte strategiche. Una misura d’emergenza che però non potrà essere ripetuta a lungo. Ricollocare la produzione negli Stati Uniti, come auspicato dall’amministrazione Trump, appare irrealizzabile nel breve termine: la filiera asiatica è troppo complessa, mancano le competenze locali e i costi sarebbero proibitivi. Secondo alcune stime, un iPhone interamente prodotto negli Usa potrebbe arrivare a costare 3.500 dollari.
Nel frattempo, l’incertezza cresce e si diffonde lungo tutta la catena di approvvigionamento. Le aziende, per fronteggiare l’instabilità, stanno rivedendo contratti e fornitori, investendo in sistemi digitali per migliorare la visibilità logistica, potenziando le capacità doganali e rinegoziando con i clienti la ripartizione dei costi extra. Alcuni spedizionieri europei stanno persino valutando l’opportunità di richiamare le merci già partite verso gli Stati Uniti, temendo di incorrere in perdite ingenti una volta giunte a destinazione. Ricordiamo che restano in vigore i dazi del 10% su tutte le merci introdotte negli Usa da tutti i Paesi.
Quello che si prospetta è un cambiamento profondo del commercio globale. I dazi al 125% imposti dagli Stati Uniti alla Cina non sono solo un provvedimento economico, ma un chiaro segnale politico. Escludendo la Cina dalla tregua tariffaria, Washington ha indicato con decisione la direzione del proprio nuovo protezionismo. Le catene logistiche internazionali, già messe alla prova da pandemia e conflitti, si trovano ora ad affrontare una nuova fase di volatilità, che impone scelte rapide e strategie di adattamento radicali.
Il settore del trasporto merci è al centro di questa tempesta. La sua capacità di adattarsi – reinventando rotte, riorganizzando i flussi e adottando tecnologie più agili – sarà decisiva per contenere l’impatto. Ma in questo scenario in continuo mutamento, il fattore più difficile da gestire resta l’imprevedibilità. Un elemento che nessuna tariffa, per quanto alta, potrà mai controllare.