Ventuno persone e diciannove imprese sono coinvolte in un’indagine avviata dalla Procura di Como e condotta dalla Guardia di Finanza su una colossale frode fiscale da 21 milioni di euro avvenuta nell’ambito del facchinaggio e dei trasporti per la Grande distribuzione organizzata. Al centro del lavoro investigativo ci sono diciassette cooperative, un consorzio e una società Srl operanti nella provincia di Como, che tra il 2015 e il 2022, gli inquirenti non hanno fornito il nome degli indagati, comunicando solo che il consorzio e la Srl sarebbero i capogruppo di questa rete e spiegando il meccanismo della frode.
Alcune società del raggruppamento avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti per un valore di 21.127.751,54 euro alle altre, che così hanno potuto evadere 4.247.202 euro. Inoltre, avrebbero omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, evadendo così altri 1.644.504 euro e usato indebite compensazioni d’imposta, con un’evasione di altri 1.833.342 euro. Grazie a questa evasione, le imprese del raggruppamento potevano offrirsi sul mercato a tariffe più basse della concorrenza.
La Finanza ha ricostruito questo meccanismo tramite accertamenti documentali e bancari, che hanno individuato cooperative tenute in vita per brevi periodi, che non pagavano le imposte. Queste società “cartiere” avevano il compito di assumere lavoratori, che di fatto erano gestiti dal consorzio e dalla Srl. Queste ultime due erano in regola dal punto di vista fiscale e svolgevano solo attività direzionali e amministrative. Le cooperative emettevano alle capogruppo fatture che addebitavano falsi costi per il personale, permettendo loro di abbattere il debito Iva e di non pagare i contributi dei lavoratori. Se questi ultimi fossero stati assunti dal consorzio o dalla Srl, questi non avrebbero potuto generare Iva a credito.
I soldi versati alle cooperative, oltre a pagare i lavoratori, erano usati dagli organizzatori della frode mediante prelievi per contanti, assegni o con bonifici bancari in favore di loro stessi, a pagamento di propri compensi o utilizzate per spese personali. Commettendo un altro illecito, perché le cooperative non possono avere scopo di lucro. Dopo un paio d’anni di attività, le coop erano chiuse per riaprirne altre con gli stessi lavoratori (inquadrati come soci lavoratori a loro insaputa) committenti. In tutti i casi, i responsabili erano prestanome, che si assumevano le responsabilità penali e tributarie.
Al termine dell’indagine, la Procura ha stabilito quattordici misure cautelari, tra cui nove in carcere, quattro ai domiciliari e un obbligo di presentazione all'Autorità giudiziaria e il sequestro preventivo per un ammontare di 7,7 milioni di euro.