Il Governo inizia dalle Poste Italiane il processo di privatizzazione della logistica. Il Consiglio dei ministri del 17 settembre 2024 ha approvato il Decreto proposto dal ministro dell’Economia che regola la vendita di una parte della partecipazione del ministero nella società postale. Lo Stato intende mantenere comunque una quota superiore al 50% nel capiale di Poste Italiane “anche per il tramite di società direttamente o indirettamente controllate dal ministero dell’Economia”, si legge in una nota governativa.
Un articolo del Sole 24 Ore prevede che la privatizzazione possa riguardare una quota tra il dieci e il venti percento del capitale di Poste Italiane, con un introto che potrebbe variare da 1,32 a 2,64 miliardi. Hanno reagito positivamente soprattutto gli investitori finanziari, tramite l’aumento della quotazione della società e del suo rating. Viceversa, si oppongono i sindacati, che temono una riduzione del personale e una chiusura di sportelli.
Secondo la Cgil, i venti miliardi di euro che il Governo prevede di raccogliere con le privatizzazioni (di cui quella di Poste Italiane è una parte) rappresentano solo lo 0,71% del debito pubblico italiano, che ammonta a 2.800 miliardi. D’altra parte, lo Stato perderebbe i dividendi di una società che è in attivo. Quelli ottenuti nel 2023 con la sua quota sono stati di 248 milioni di euro.
Un altro capitolo delle privatizzazioni nella logistica riguarda le ferrovie. Finora non c’è alcun provvedimento concreto, ma il Governo sta considerando di vendere una quota di Ferrovie dello Stato, mantenendo comunque il controllo pubblico della società. Una via per farlo sarebbe la quotazione in Borsa, seguendo il modello già attuato per Terna, la società che gesteti la rete elettrica nazionale.
Anche nel caso delle ferrovie i sindacati si oppongono alla parziale privatizzazione. In prima fila c’è la Uiltrasporti, secondo cui “il sistema ferroviario italiano rappresenta un asset fondamentale del servizio pubblico e dunque non può e non deve essere svenduto”. La sigla ritiene respinge anche “l’inaccettabile idea che tale scelta possa essere fatta solo per presunti vantaggi di finanza pubblica di breve periodo”.
È interessante notare che mentre l’Italia intende aprire le ferrovie ai privati, un Paese che lo ha fatto da tempo – e in misura molto più consistente – sta valutando l’ipotesi della (ri)statalizzazione. È la Gran Bretagna, dove il nuovo primo ministro laburista, Keir Starmer, ha annunciato a luglio 2024 i piani per nazionalizzare il trasporto ferroviario, con l’obiettivo di completare l’opera entro cinque anni, man mano che scadranno gli attuali contratti con gli operatori privati.
Dovrebbe nascere la società pubblica Great British Railways, che dovrà gestire sia l'infrastruttura ferroviaria che i servizi passeggeri. L’obiettivo è creare un sistema ferroviario unificato e semplificato, ponendo fine alla frammentazione attuale. Starmer ritiene che il ritorno delle ferrovie al pubblico aumenterà l’efficienza e l’affidabilità del servizio e ridurrà la spesa pubblica, eliminando i pagamenti agli operatori privati. I sindacati hanno accolto con favore questo programma, mentre le compagnie ferroviarie private hanno espresso preoccupazioni sui costi a lungo termine della nazionalizzazione.
Si parla anche di privatizzare i porti, o meglio le Autorità di Sistema Portuale, anche se in modi più sfumati rispetto a Poste e ferrovie. Per farlo, bisognerebbe prima trasformare le Asp da enti di diritto pubbli a società private. Questa ipotesi non ha raccolto solo l’opposizione preventiva dei sindacati, ma anche di parte degli operatori. Tra questi ultimi si è espressa Federagenti, tramite il presidente Alessandro Santi, secondo cui le infrastrutture strategiche del Paese debbano rimanere sotto controllo pubblico. Santi teme anche possibili conflitti di interesse tra una eventuale holding portuale centrale e i privati che già gestiscono terminal in concessione.