Un mancato introito per l'Italia pari a circa 6,4 miliardi di euro, di cui oltre il 60% destinato allo Stato (dazi doganali e IVA) e un indotto economico non attivato per il tessuto imprenditoriale del Paese di ulteriori 5,5 miliardi di euro. Sono questi, in sintesi, i risultati di uno studio di Fedespedi (Federazione Nazionale delle Imprese di Spedizioni Internazionali) sugli effetti per il nostro Paese derivanti dall'importazione via Nord Europa, ogni anno, di circa 900 mila contenitori di merce destinata al mercato italiano (con una valore complessivo stimato di circa 27 miliardi di euro).
Secondo Fedespedi, questa situazione è causata principalmente dall'eccesso di burocrazia che caratterizza le procedure di importazione della merce in Italia, dove possono essere ancora oggi svolte fino a 17 tipologie di controllo e possono intervenire fino a cinque Ministeri. In particolare, la ricerca ha evidenziato come per ogni contenitore da 20 piedi importato nei porti del Nord Europa, attribuendo alla merce trasportata un valore economico medio-basso di 30mila euro, il mancato introito per il sistema Paese sia di circa 7100 euro.
Tale valore si ottiene sommando le numerose voci di costo che intervengono nell'importazione in un porto italiano di un contenitore di tali dimensioni considerando dazi doganali e Iva destinati all'Erario, tasse portuali, costi legati alle agenzie marittime, terminal portuali, spedizionieri, autotrasportatori e infine indotto bancario riguardante le operazioni di importazione. Moltiplicando il mancato introito per ogni singolo contenitore (circa 7100 euro) per i circa 900 mila contenitori stimati, si ottengono i circa 6,4 miliardi di euro di mancati introiti complessivi per il sistema Paese evidenziati dalla ricerca.
Inoltre, secondo lo studio Fedespedi, importare in Italia tali contenitori genererebbe un indotto economico per il tessuto imprenditoriale del Paese di ulteriori 5,5 miliardi di euro, risultato ottenuto applicando il moltiplicatore del reddito del cluster marittimo (2,37) al valore dei potenziali nuovi ricavi che tale operazione porterebbe al mondo delle imprese (circa 2,34 miliardi di euro).
Il presidente degli spedizionieri italiani, Piero Lazzeri, ha sottolineato: "Da tempo ribadiamo l'importanza di una decisa azione di snellimento burocratico e di semplificazione normativa degli adempimenti legati all'import/export per incrementare i volumi di merce movimentata dai porti nazionali. Tra gli interventi prioritari da attuare rientrano una concreta riforma del sistema portuale che dia alle Autorità Portuali una reale autonomia finanziaria, la piena e totale attivazione su scala nazionale dello Sportello Unico Doganale e del cosiddetto sistema di preclearing e l'istituzione di un Testo Unico, oggi mancante, che riunisca tutte le norme di importazione ed esportazione di una merce definendone, a livello nazionale, interpretazione e ambiti di applicazione".
Lazzeri ha aggiunto: "Risulta chiaro che solo un'azione congiunta del mondo imprenditoriale, del governo e della pubblica amministrazione, possa ridare credibilità all'intero sistema e convincere quelle aziende che oggi preferiscono importare tramite i porti del Nord Europa beni che saranno poi distribuiti e venduti nel nostro territorio, a ritornare a dare fiducia al sistema dei porti italiani».
Il presidente di Fedespedi ha concluso dicendo: "È necessario che alcune strutture portanti, tra cui Autorità Portuali, porti, aeroporti e retroporti e gli ingranaggi organizzativi, tra cui la normativa di settore e la Pubblica amministrazione, siano messe nella condizione di poter lavorare al meglio per confrontarsi su scala internazionale con i sistemi logistici delle altre nazioni. Il nostro Paese deve poter contare su un'applicazione omogenea del diritto europeo, vanno eliminate le storture per le quali oggi le imprese italiane si vedono penalizzate da una lettura ed applicazione del diritto comunitario che genera un vero e proprio gap competitivo. Tale stortura dispositiva incrementa lo spread logistico tra l'Italia e il resto d'Europa e il conto salato lo pagano le imprese con fallimenti e chiusure".
Nicola Capuzzo
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