In un mondo del lavoro in cui, anche per i trasporti e la logistica, esistono casi in cui non sono assicurati neanche servizi igienici decenti per gli uomini e ancor meno per le donne, un problema molto grave che assilla la vita di due miliardi di persone nel mondo ricordato dall’Onu ogni 19 novembre nella giornata internazionale per i servizi igienici, World Toilet Day, lo spazio conquistato dalle donne ha un sapore darwiniano, risultato di una selezione selvaggia di forze naturali, che spesso richiede da parte delle donne dosi massicce di ostinazione, preparazione, intelligenza, in misura ben superiore a quelle necessarie a una persona di sesso maschile.
Ma costruire richiede atti concreti, a cominciare dalla realizzazione dei servizi pubblici, in primis quelli di cura e assistenza. Pochi giorni fa, il Presidente del Consiglio Mario Draghi non a caso ha sottolineato l’urgenza degli asilo nido, le infrastrutture sociali che più di altre consentono alle donne di non vivere il conflitto tra la capacità di procreare, il proprio lavoro e la carriera.
Abbattere la disputa, tutta culturale, tra maternità, lavoro e vita personale, dando strutture sociali idonee a rendere libere le donne di esprimere le proprie potenzialità, è un punto fondamentale anche per affrontare la gravità assoluta dell’invecchiamento senza precedenti della nostra società, frutto della bassa natalità, che comporta gravissimi problemi politici, economici e sociali, immediati e futuri.
Guardando al mondo dei trasporti, sugli 11 milioni di lavoratori del settore censiti dalla Unione Europea, solo il 22% sono donne. Un recente sondaggio sullo smart working, coordinato dalla Segretaria nazionale del sindacato Uiltrasporti, Francesca Baiocchi, su una platea di oltre 700 lavoratori, ha evidenziato una forbice del 21% tra uomini (60,5%) e donne (39,5%), sulla disponibilità a protrarre nel tempo il lavoro agile. Tale disparità nel terziario dei trasporti, segnala evidentemente, insidie nascoste. Lo smart working, oggi soluzione emergenziale, ma domani possibile espressione strutturata dell’organizzazione del lavoro, ha bisogno di analisi approfondite, per impedire che si trasformi in un ulteriore ostacolo ai percorsi professionali delle donne.
In generale, la pandemia Covid-19 ha bruciato maggiormente posti di lavoro a prevalenza femminile il cosiddetto she-cession: secondo i dati della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, nel secondo trimestre 2020 su 100 posti persi il 56% erano occupato da una donna, coinvolgendo 470mila lavoratrici. Per la maggior parte si è trattato di occupazione a termine, autonoma, o in part time nei settori della assistenza domestica, della ristorazione e del turismo.
Un dato che fa riflettere se si considera il settore marittimo delle crociere. Da stime IMO, International Maritime Organization, le donne sono circa il 2% dei circa 1,2 milioni di marittimi imbarcati, e una ricerca della Maritime HR Association del 2017, evidenzia che solo il 7% delle donne sono ufficiali contro il 42% degli uomini, ma ancora l’IMO ci dice che il 94% di tutte le donne imbarcate sono impiegate nel settore crociere con varie mansioni. Quindi la crisi delle crociere ha lasciato a casa moltissime donne.
C’è anche chi sostiene che le donne che operano nel settore trasporti e logistica, sconterebbero una scarsa propensione allo studio delle materie scientifiche. Tuttavia, in Italia, secondo Alma Laurea, le donne sono quasi il 60% dei laureati, ed i dati Cerved-Fondazione Belisario ci dicono che nel mondo universitario sono donne il 47% dei ricercatori a tempo indeterminato, il 38% dei professori associati, ma solo il 23% dei cattedratici ordinari. Qualcosa evidentemente non quadra.
Il Rapporto Donne di Manageritalia, elaborato annualmente su dati Inps, offre alcuni elementi interessanti. La Federazione nazionale dirigenti, quadri e professional del commercio, alberghi, trasporti, logistica e agenzie marittime del settore privato, nell’edizione 8 marzo 2021 su dati 2019, gli ultimi disponibili, conferma un costante trend di crescita di donne tra i dirigenti delle imprese private, che supera il 18%, in linea con quanto rilevato dal Cerved-Fondazione Belisario. Quello che è interessante è la distribuzione di questa percentuale all’interno delle fasce di età: nella fascia under 35 anni, le donne manager superano il 32%, in quella 35-under 40 raggiungono quasi il 28%. Ciò evidenzia un dinamismo tra le generazioni femminili più giovani, che lascia intravedere cambiamenti positivi per il futuro.
Le regioni più rosa sono risultate Molise 30%, Sicilia 25,5% e Lazio 24%, seguite al 20% da Basilicata e Lombardia, che ha 10.171 dirigenti donne, il 48% del totale nazionale, trainate da Milano, con 8.251 donne, il 39% del totale nazionale di 21.095, contro 94.246 maschi. Le regioni con quote rosa al di sotto del 10% sono Abruzzo e Trentino Alto Adige.
Per quanto riguarda i quadri d’azienda, che rappresentano un bacino naturale di futuri dirigenti, le donne sono oltre il 30% a livello generale, ma ancora una volta sopravanzano la media nazionale le under 35 con il 37% e le under 40 con oltre il 34%. Lazio (35%) Sardegna (34%) e Lombardia (32%) sono risultate, in questo ambito, le regioni italiane più rosa. Relativamente ai contratti gestiti da Manageritalia, dal 2008 al 2020 i dirigenti in generale sono cresciuti di circa il 15%, ma le donne dirigenti del 50%. A dicembre 2020, esse risultavano il 22% del totale dei dirigenti.
Le Nazioni Unite, tra gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile entro il 2030, hanno posto quello della piena parità tra i sessi: mancano solo 9 anni, ma tutto indica che c’è veramente ancora molto da fare.
Giovanna Visco