Contrabbando, falsità ideologica, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: questi sono i reati contestati dalla Guardia di Finanza di Bologna al termine di un’indagine su una grande frode doganale attuata nell’importazione di merci dalla Cina all’Italia, parte delle quali sono state stoccate nell’interporto bolognese. Tra gli indagati ci sono titolari e dirigenti di diverse società di spedizione doganale e imprenditori cinesi operanti nella provincia di Prato.
Secondo gli inquirenti, le merci giunte direttamente dalla Cina e lavorate in Italia sono state dichiarate provenienti da depositi Iva, evitando così di pagare l’Iva per l’importazione. La merce non transitava dunque dal deposito Iva, ma andava verso i magazzini delle società importatrici usando fatture e documenti falsi. Si trattava in prevalenza di stoffe grezze, che erano usate negli stabilimenti di Prato per produrre abiti. La Finanza stima che in questo modo ne siano state importate in Italia 13.600 tonnellate, per un valore di 63 milioni di euro, comportando un’evasione dell’Iva di tredici milioni.
Durante l’inchiesta, la Finanza ha posto sotto indagine otto persone fisiche e sette persone giuridiche. L’operazione finale, comunicata il 9 aprile 2024, è avvenuta nelle province di Bologna, Prato e Ferrara utilizzando ottanta Finanzieri. La Procura di Bologna ha anche disposto il sequestro preventivo di beni per oltre sette milioni di euro. Gli inquirenti non hanno comunicato il nome delle persone e delle imprese indagate.