Il trasporto marittimo internazionale si trova di fronte a una nuova possibile scossa, questa volta provocata da una proposta dell’Amministrazione statunitense destinata a colpire direttamente le navi costruite in Cina, che potrebbero subire pesanti sanzioni nei porti degli Usa. Un chiaro segnale di allarme è giunto Andrew Abbott, presidente e amministratore delegato della compagnia Atlantic Container Line, controllata da Grimaldi. Fonti giornalistiche statunitensi riferiscono infatti che Abbott ha dichiarato che se le nuove tariffe portuali entreranno in vigore (si parla di applicare un’imposta fino a un milione di dollari per ogni ingresso) la società potrebbe cessare le proprie attività negli Stati Uniti.
Per Acl, che impiega cinque navi con capacità di 3.800 – tutte costruite in Cina tra il 2015 e il 2016 – l’introduzione di questa tariffa rappresenterebbe un provvedimento insostenibile, quindi la compagnia dovrebbe chiudere le sue sedi statunitensi e licenziare il personale impiegato sul suolo nazionale. Abbott ha portato alcuni esempi concreti: i noli del trasporto di container dagli Stati Uniti verso l’Europa, attualmente attorno ai 500 dollari per unità da 40 piedi, salirebbero a circa 2.500 dollari, quindi un aumento del 500%. Anche i costi di importazione dagli scali europei subirebbero un’impennata, con un incremento stimato dell’80%.
Abbott ha aggiunto che questi rincari non sarebbero assorbiti dagli operatori, ma verrebbero scaricati direttamente su clienti e imprese, con effetti dirompenti su catene di approvvigionamento già messe alla prova negli ultimi anni. Non solo: questo provvedimento potrebbe generare una vera e propria crisi logistica, perché si verificherebbe un’immediata ridistribuzione delle flotte mondiali: le navi non costruite in Cina verrebbero dirottate sulle rotte statunitensi, mentre quelle soggette alla nuova tariffa sarebbero costrette ad abbandonare il mercato nordamericano. Il risultato sarebbe una corsa al rialzo dei noli marittimi, potenzialmente superiore persino agli aumenti registrati durante la pandemia di Covid-19, con gravi ricadute sull’economia statunitense.
Il presidente di Acl ha anche criticato l’efficacia strategica della misura proposta. A suo avviso, l’esclusione delle navi cinesi dal mercato americano non rilancerebbe la cantieristica statunitense, ma favorirebbe semplicemente altri costruttori asiatici come Corea del Sud, Giappone e Taiwan, già ben posizionati sul mercato globale. "L’unico risultato sarà una riorganizzazione del mercato, non la crescita dell’industria navale americana", ha sottolineato Abbott, definendo l’iniziativa come un rischio sistemico non solo per le compagnie marittime, ma anche per esportatori e importatori statunitensi.
Va ricordato che, al momento, si tratta di una proposta non ancora entrata in vigore. Le parole di Abbott rappresentano una chiara presa di posizione preventiva, con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità sui rischi derivanti da una decisione politica dalle implicazioni profonde. Tuttavia, il semplice fatto che un operatore del calibro di Acl minacci un’uscita totale dal mercato americano è già di per sé un segnale preoccupante per l’intero comparto. Il dibattito è aperto e, nei prossimi mesi, sarà determinante osservare le mosse dell’amministrazione statunitense e le eventuali reazioni da parte delle associazioni di categoria e degli operatori industriali coinvolti.
Acl è controllata dal gruppo italiano Grimaldi, ha sede operativa nel New Jersey e si distingue per non appartenere a nessuna delle grandi alleanze internazionali tra vettori. La compagnia opera un servizio regolare – denominato Acl A – che collega i porti di New York, Baltimora, Norfolk, Halifax, Liverpool, Anversa e Amburgo, utilizzando navi ibride container/ro-ro.