Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni Settanta, l'industria cantieristica statunitense ha rappresentato un assetto strategico sia per la difesa nazionale che per l'economia. Tale supremazia derivava dalla riconversione industriale postbellica, che aveva consentito agli Stati Uniti di capitalizzare su infrastrutture all’avanguardia, forza lavoro qualificata e un dominio tecnologico che copriva l’intera filiera produttiva. I cantieri statunitensi potevano produrre unità navali sia per scopi militari che commerciali, con un impatto diretto sull’equilibrio geopolitico marittimo globale.
Con la crescente globalizzazione e il consolidarsi di nuove economie emergenti nel settore manifatturiero, la cantieristica statunitense ha cominciato a perdere terreno. A partire dagli anni Ottanta, la concorrenza di Paesi come Giappone, Corea del Sud e successivamente Cina ha ridotto drasticamente la competitività delle imprese statunitensi. Le cause sono riconducibili a vari fattori strutturali: l’assenza di una politica industriale integrata, l’incremento dei costi di produzione, l’erosione della manodopera specializzata e la chiusura progressiva di molti cantieri civili. Non bisogna dimenticare neppure che il presidente Reagan abolì i contributi statali al settore. Oggi, la quota statunitense nel mercato globale della cantieristica commerciale si attesta intorno allo 0,1%, una marginalità che riflette una perdita quasi totale di rilevanza nel settore.
Parallelamente, la Cina ha adottato un approccio pianificato al dominio marittimo. Attraverso sussidi governativi, sinergie pubblico-private e un’espansione delle capacità produttive in cantieri moderni, la Cina ha conquistato oltre il 50% delle commesse mondiali nel settore. L’approccio cinese è stato sistemico: la cantieristica è stata elevata a strumento di proiezione geopolitica, integrata in un ecosistema che include trasporto merci, logistica portuale e capacità militari. Inoltre, l’industria navale cinese è riuscita a porsi come fornitore privilegiato nei mercati emergenti, consolidando la propria influenza nei corridoi marittimi strategici attraverso la Belt and Road Initiative.
In questo scenario, l’amministrazione Trump ha delineato un piano per rilanciare la cantieristica statunitense, considerata ormai un punto debole nella struttura produttiva e nella resilienza strategica del Paese. Il piano prevede la costituzione di un Shipbuilding Policy Office presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale, l’introduzione di dazi punitivi di almeno un milione di dollari per ogni nave cinese che approda nei porti statunitensi e l’obbligo di utilizzo di navi americane per il trasporto di determinate categorie di merci nazionali. L’obiettivo, esplicitamente protezionista, è duplice: contenere l’espansione cinese e stimolare la riattivazione di una filiera industriale nazionale.
Tuttavia, il direttore del porto di Los Angeles, Gene Seroka, ha ammonito sulla complessità dell’operazione: "Spostare gli equilibri dell’industria navale globale non è questione di mesi, ma di decenni", ha dichiarato in un’intervista a Bloomberg Television. Seroka ha anche riferito che, in previsione dell’applicazione delle nuove tariffe, molte aziende hanno anticipato le importazioni, generando un surplus di inventari nei magazzini portuali.
Il rilancio del comparto navale richiede una pianificazione strategica di lungo termine e investimenti imponenti. Gli Stati Uniti devono affrontare ostacoli di natura strutturale: carenza di manodopera qualificata, infrastrutture obsolete, frammentazione normativa, e difficoltà di accesso al capitale per nuove iniziative industriali. Emblematico è il caso della Uss Constellation, la nuova fregata della Marina militare, i cui ritardi e sforamenti di budget testimoniano i punti critici operativi del settore.
Secondo numerosi analisti, il ritorno a un ruolo competitivo nel mercato globale potrebbe richiedere dai 15 ai 25 anni, a seconda della coerenza e continuità delle politiche adottate. Non si tratta, infatti, solo di un aggiornamento tecnologico o di un incentivo economico: è necessario ricostruire un intero ecosistema industriale. La formazione di una nuova generazione di professionisti specializzati in ingegneria navale, saldatura avanzata, gestione di progetti complessi e logistica marittima sarà centrale. Occorrerà investire nelle università tecniche, creare collaborazioni tra pubblico e privato per programmi di apprendistato e ricerca applicata, e modernizzare la normativa per semplificare le procedure della autorizzazioni per la costruzione navale.
Fondamentale sarà anche il rafforzamento della rete dei fornitori, attualmente frammentata e in molti casi dipendente da componenti estere. Senza una robusta rete di sub-fornitori in grado di assicurare livelli qualitativi e tempi di consegna competitivi, il comparto cantieristico rischia di restare vulnerabile. Inoltre, sarà necessario integrare digitalizzazione, automazione e sostenibilità ambientale nei nuovi impianti produttivi: il rilancio della cantieristica non può prescindere dall’adozione di tecnologie di Industria 4.0 e dal rispetto delle normative ambientali, che stanno diventando un criterio discriminante per le commesse internazionali.
Infine, l’interconnessione con il sistema portuale e logistico sarà decisiva: la rinascita dell’industria navale americana deve poggiare su un’infrastruttura portuale in grado di supportare l’espansione dei flussi commerciali e la manutenzione di una flotta moderna. Senza un piano integrato per l’ammodernamento dei porti, qualsiasi rilancio rischia di essere inefficace. La cantieristica statunitense si trova quindi a un bivio: tentare un rilancio strutturale o accettare una posizione residuale nel contesto globale.