La crisi del Mar Rosso è stata al centro dell’assemblea di Assagenti, che si è svolta a Genova il 25 giugno 2024. Lo è stata evidenziando le conseguenze per il Mediterraneo, ma anche per mettere in guardia sugli ostacoli che potrebbero sorgere nei cosiddetti choke point, ossia gli stretti nei quali transita il trasporto marittimo intercontinentale non solo di beni di consumo, ma anche di alimentari e di prodotti energetici. Sono rischi che secondo l’associazione degli agenti marittimi sarebbero “sottovalutati”.
Lo stretto di Bab-el-Mandeb – dove avviene la maggior parte degli attacchi degli Houthi – è uno di questi, ma non è l’unico situato in punti caldi dal punto di vista geopolitico. “Anche solo un’altra crisi in stretti strategici come quello di Hormuz attraverso il quale transita il 20% del petrolio del mondo, oppure dello stretto di Malacca, vitale per i traffici da e per la Cina e per il subcontinente asiatico, e l’economia mondiale rischierebbe di collassare con un salto nel vuoto per interi Paesi, se non per interi continenti”, ha ammonito Paolo Pessina, presidente di Assagenti.
L’associazione ha approfondito la questione commissionando uno studio al Centro Giuseppe Bono e che l’ammiraglio Sergio Biraghi ha illustrato all’assemblea. Un dato che spicca è che oltre l’ottanta percento dello scambio commerciale internazionale viaggia su nave e quasi la metà degli stretti in cui viaggiano tali spedizioni devono essere considerate a rischio per diversi motivi: conflitti, terrorismo pirateria o fenomeni naturali. Per quest’ultimo caso è esemplare il caso del Canale di Panama, la cui navigazione è limitata da mesi a causa della siccità.
Uno dei punti più importanti è lo Stretto di Malacca, dove passano le rotte dall’Asia verso l’Europa e la costa atlantica degli Stati Uniti. In concreto, vi transita il trenta percento del commercio mondiale, pari a tre miliardi e mezzo di tonnellate di merci. Un eventuale blocco di questo stretto, afferma la ricerca, allungherebbe le rotte, moltiplicando i ritardi e aumentando le spese di trasporto, “creando un effetto domino incontrollabile”.
Un altro choke point strategico è lo Stretto di Hormuz, dove passa oltre il venti percento del traffico mondiale di petrolio. La ricerca non trascura ovviamente il Canale di Suez (strettamente legato alle sorti dello stretto di Bab-el-Mandeb) – dove transita il 12% dell’interscambio mondiale e il 15% delle portacontainer - e il Canale di Panama, che accoglie il cinque percento delle portacontainer.
Ma l’assemblea di Assagenti non ha esposto solo rischi. L’attuale situazione offre anche opportunità, che per l’Italia può essere il recupero della centralità del Mediterraneo, nel contesto del riposizionamento globale della produzione industriale. Ne ha parlato anche il sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio Berutti Bergotto, sottolineando che l’economia marittima rappresenta il 25% del Pil italiano e la nuova frontiera è rappresentata dall’esplorazione e dallo sfruttamento dei fondali marini, sconosciuti per oltre l‘80% della loro estensione.