Nel primo semestre del 2019 le principali compagnie di navigazione attive nel trasporto di container hanno fatto registrare risultati finanziari generalmente soddisfacenti (tanto più se rapportato a quelli del 2018) nonostante le incertezze geopolitiche e i timori legati alla guerra commerciale in atto fra Stati Uniti e Cina. Praticamente tutti i primi dieci vettori marittimi mondiali, fatta eccezione per Cosco e Cma Cgm, fra gennaio e giugno di quest'anno hanno registrato ricavi in crescita e tutti, tranne Zim, hanno visto aumentare i volumi di contenitori trasportati.
Le ultime informazioni di Container Trades Statistics dicono che al 30 giugno 2019 il numero di container trasportato a livello globale è stato di circa 84 milioni di teu, in crescita del 1,3% rispetto allo stesso periodo del 2018. Un anno fa la crescita rispetto al primo semestre del 2017 era stata del 4,5% e il rallentamento di quest'anno viene ricondotto a fattori come il rallentamento economico del'Eurozona, la guerra commerciale in atto fra Usa e Cina e le tensioni in Medio Oriente.
Secondo Alan Murphy, analista di Sea-Intelligence, i vettori marittimi hanno iniziato con successo a gestire la capacità di stiva tramite cancellazioni di partenze, chiusura di servizi e prolungando i tempi di sosta in porto per imbarchi extra quando necessario. "Da questo punto di vista i carrier stanno raccogliendo i frutti di un'ondata di consolidamento che va avanti da vent'anni", ha detto Murphy. "Un approccio di questo tipo può essere efficace solo in un mercato sufficientemente consolidato, esattamente quello che oggi si vede sui principali trade dove operano nove compagnie raggruppate in tre alleanze". Se le compagnie di navigazione decideranno di privilegiare le redditività rispetto alla conquista di volumi a ogni costo potranno ambire a una certa resilienza di fronte ai fattori di incertezza che colpiscono il mercato.
L'analista di Sea-Intelligence ha però sollevato un altro rischio fino ad oggi poco considerato e legato comunque alla guerra commerciale fra stati Uniti e Cina. "La scelta di grandi gruppi industriali di non investire più in pochi, grandi centri produttivi ma in un numero maggiore di stabilimenti dislocati in giro per il mondo porterà a una diffusione geografica più dispersiva della domanda di trasporti via mare" è la riflessione di Murphy. "A parità di domanda questo comporterebbe dei problemi". I vettori marittimi nell'ultimo lustro hanno infatti investito e scommesso pesantemente in navi portacontainer di portata sempre maggiore impiegate su poche rotte di grande importanza. "Questo risulterebbe in un minor numero di servizi con frequenza settimanale e in una minore resilienza delle compagnie di navigazione di fronte a una domanda di trasporto maggiormente diffusa geograficamente. Forse è il momento delle più versatili navi da 15mila teu che potrebbero commercialmente soppiantare i giganti da 24mila teu".
Nicola Capuzzo
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