Il peso e il ruolo sempre più determinante dei fondi d'investimento nello shipping italiano ha indotto il presidente della Confederazione Italiana Armatori, Mario Mattioli, a lanciare un appello in difesa delle strutture aziendali del settore. Mattioli si è rivolto a soggetti finanziari come Pillarstone Italy (attivo nei dossier Premuda e Rbd Armatori) e Bain Capital (coinvolto nella ristrutturazione della Giuseppe Bottiglieri Shipping Company) invocando una "complementarietà del mondo armatoriale con banche e fondi" e invitando a trovare un accordo che consenta "di non disperdere il tessuto imprenditoriale e di competenze sviluppati sul territorio".
Mattioli più direttamente ha detto che "bisogna evitare la dispersione di competenze e un effetto spezzatino delle flotte" e auspica "si possano creare collaborazioni tra imprese e mondo della finanza che consentano agli armatori di continuare a fare il loro mestiere: vale a dire gestire flotte di navi. In un certo numero di anni poi, e al verificarsi di determinate condizioni, l'armatore potrebbe magari rilevare una quota, anche solo minoritaria, della società stessa".
Alcuni operatori dello shipping italiano dunque, se si raggiungesse questo accordo armatori-finanza auspicato da Confitarma, fra qualche anno potrebbero sperare di ripartire con l'attività imprenditoriale potendo contare su una rete di competenze e di servizi che le ristrutturazioni aziendali, i fallimenti e i concordati preventivi non hanno spazzato via. Sul tema è intervenuto anche Fabrizio Vettosi, vertice del fondo d'investimento nonché advisor VeniceShipping&Logistics, che domanda per quale motivo gli istituti di credito italiani, invece che delegare a fondi d'investimento esteri la gestione e ristrutturazione di crediti incagliati con le società armatoriali, non abbiano curato direttamente questa funzione conservando per sé oltre agli oneri anche gli onori.
"Perché non ci domandiamo il motivo per cui le banche, anziché accontentarsi di paper for paper con una waterfall che gli consente un recupero posposto rispetto a eventuali fondi investiti da Pillarstone con un determinato rendimento, non hanno effettuato l'operazione direttamente?" afferma Vettosi. Che aggiunge: "Ciò gli avrebbe consentito di catturare l'intero valore derivante dalla ripresa del dry e di gestire direttamente in maniera costruttiva la ristrutturazione per poi aprire il capitale, dopo aver risanato l'azienda, nuovamente al mercato o al private equity. Esiste un caso, non italiano, quello di Torm, in cui ciò è stato fatto con piena soddisfazione e valorizzazione per le banche".
Per il numero uno di Vsl agli istituti italiani "manca una cultura e capacità nel gestire i processi di ristrutturazione finalizzati al recupero di valore. Spesso le stesse banche si nascondono dietro motivazioni connesse all'agenda della Bce e alla necessità (quasi panico) di accelerare il processo di smaltimento degli Npl per assumere decisioni che alla fine portano alla distruzione di valore per gli azionisti delle stesse banche".
Nicola Capuzzo
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