Nel porto di Livorno i sindacati Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti si stanno mobilitando sul futuro della società terminalista Ltm, che avrebbe annunciato la propria intenzione di cessare l’attività attuale e trasferire i 51 dipendenti — tra operatori e impiegati amministrativi — in una nuova impresa dedicata esclusivamente alle operazioni portuali. Le tre sigle hanno aperto la vertenza, dichiarando lo stato di agitazione del personale.
Secondo quanto riferito il 25 marzo 2025 da Giuseppe Gucciardo, Dino Keszei e Gianluca Vianello — rispettivamente rappresentanti di Filt, Fit e Uilt — i vertici aziendali hanno comunicato il piano direttamente ai delegati sindacali. L’intento sarebbe quello di trasformare Ltm da azienda “articolo 18” a soggetto “articolo 16” della legge 84/1994, la normativa di riferimento per l’ordinamento portuale. Ciò significa un passaggio da una realtà terminalista strutturata a una società focalizzata esclusivamente sulle operazioni di banchina, con conseguenze importanti sia sul piano occupazionale sia su quello regolatorio.
In una nota, i tre sindacati spiegano che: “secondo Ltm questa mossa servirebbe a fronteggiare la riduzione dei traffici e a salvaguardare i posti di lavoro. Ma si tratta di un’illusione: i dipendenti perderebbero stabilità, tutele e prospettive, venendo di fatto declassati sotto il profilo contrattuale ed economico”. A preoccupare è anche il possibile impatto sistemico: Livorno già conta numerosi operatori “articolo 16”, la cui proliferazione ha dato vita a una concorrenza interna incentrata sul contenimento dei costi, con evidenti ripercussioni sulle condizioni lavorative.
Il progetto di Ltm, sottolineano i rappresentanti sindacali, andrebbe inoltre a compromettere la tenuta complessiva del sistema occupazionale. La nuova società entrerebbe in diretta competizione non solo con le altre imprese “articolo 16”, ma anche con Alp — soggetto “articolo 17” — e con l’agenzia di somministrazione Intempo, realtà che forniscono manodopera temporanea durante i picchi di attività. Secondo le tre sigle, il rischio è squilibrare ulteriormente un ecosistema già fragile, generando tensioni e precarietà diffuse.
Un ulteriore punto critico messo in evidenza dai sindacati è legato alla collocazione operativa della futura azienda che dovrebbe operare sulla banchina dell’Alto Fondale attualmente utilizzata da Porto2000, società partecipata dalla stessa Ltm. Tuttavia, la legge 84/1994 stabilisce che per esercitare attività terminaliste è necessaria una concessione specifica, di cui Porto2000 non sarebbe in possesso. Da qui l’appello rivolto all’Autorità Portuale affinché intervenga a tutela degli equilibri sociali e normativi dello scalo, impedendo una deriva che potrebbe compromettere non solo il futuro dei 51 lavoratori, ma l’intero tessuto economico portuale.