La siccità ha duramente colpito anche la Germania, provocando un forte abbassamento del livello del fiume Reno, una delle più importanti arterie per il trasporto delle merci, che unisce la Svizzera con i porti marittimi dei Paesi Bassi, attraversando la regione industriale tedesca della Ruhr. Ad agosto, la secca del fiume ha ridotto drasticamente la portata delle imbarcazioni e in alcuni tratti ne ha anche impedito la navigazione per una settimana a metà mese. Una situazione che ha scatenato un aumento dei costi, dovuta alla riduzione di stiva, unita all’aumento del prezzo dei carburanti.
Una delle principali compagnie di trasporto fluviale che opera sul Reno, Contargo, ha annunciato che aumenterà il supplemento congestione per i container da 10 a 25 euro a unità (piena o vuota) dal 1° settembre. Contargo spiega che il trasporto fluviale di container sta affrontando la concorrenza del trasporto di carbone e grano, notevolmente aumentato dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Questo aumento di domanda di trasporto, unito alla riduzione di portata e all’aumento del prezzo dei carburanti porta i noli “a livelli critici”. A ciò si aggiungono i tempi di attesa nei porti marittimi, che a loro volta sono congestionati. Al 30 agosto 2022, quelli delle imbarcazioni di Contargo sono di 46 ore ad Anversa e di 54 ore a Rotterdam.
Infatti, anche se le piogge nella seconda metà di settembre hanno alzato il livello del fiume, i problemi restano perché le imbarcazioni devono smaltire un enorme lavoro arretrato. Basti pensare che al culmine della crisi una chiatta da 200 teu ne poteva trasportare solo 65. Le strozzature sulla rete ferroviaria causate da lavori e la carenza di autisti di camion rendono difficile trovare alternative terrestri al trasporto lungo l’asse del Reno. Questo problema ha già raggiunto il livello di emergenza nazionale, al punto che il ministro dei Trasporti federale, Volker Wissing, ha istituito un’apposita commissione il cui scopo è programmare il dragaggio del fiume, inserito tra le priorità.
Il programma di approfondimento dei fondali del Reno dovrà essere completato entro il 2030 e richiederà un investimento di almeno 180 milioni di euro. È previsto un escavo di venti centimetri nei 50 chilometri di fiume che collegano St. Goar con Mainz. Il progetto ha raccolto l’approvazione delle industrie poste lungo il fiume e in particolare dalla Basf, che usa il Reno come principale arteria per il trasporto di materie prime e prodotti finiti. Viceversa, alcune associazioni ambientaliste si oppongono, sostenendo che se non c’è acqua a causa dei cambiamenti climatici non serve scavare il letto, mentre indirizzare il flusso verso il centro del fiume danneggerebbe gravemente la fauna ittica. Come alternativa, gli ambientalisti propongono di adattare la barche al fiume e non viceversa, progettando imbarcazioni con un pescaggio minore.
Ma c’è chi vede nella crisi del Reno non un problema, bensì un’opportunità. Lo sarebbe per i porti italiani, secondo il presidente di Federagenti, Alessandro Santi. Egli parte dalla considerazione che il prezzo di trasporto delle materie prime sul Reno è aumentato da 20 a 110 euro per tonnellata: “Oggi tutto potrebbe cambiare: quella che è stata la forza per Paesi dotati di ‘deep sea port’ ma anche di un potente reticolo fluviale, permettendo di sviluppare una potente politica industriale (la Germania in primis a partire dalla Prima rivoluzione industriale) potrebbe diventare un punto di criticità negli anni a venire”, spiega Santi.
I cambiamenti climatici renderanno cronica questa situazione e l’Italia “con 8500 km di costa e con uno status di porto diffuso che non ha mai fatto valere sullo scacchiere internazionale, può tornare a giocarsi le sue carte nello scenario logistico europeo”. Per farlo, però, è necessaria un’azione politica che crei “porti e retroporti efficienti e investimenti su insediamenti industriali e produttivi nelle aree portuali, con l’implementazione concreta delle Zes-Zls”. Santi ricorda che “Federagenti un anno fa, che sembra infinitamente lontano aveva invocato l’istituzione di un ‘gabinetto di guerra’; oggi da più parti si promuove un ministero del Mare”, concludendo che: “poco importa la forma, importanti saranno i poteri che verranno conferiti e garantiti per attuare una vera e seria politica del mare”.