Lungo le principali rotte del trasporto marittimo di container ci sono delle aree “calde”, dove possono prodursi rallentamenti o interruzioni al flusso globale delle merci o presentano rischi di attacchi di pirati o azioni militari. Upply ha pubblicato il 22 settembre 2023 sul suo blog un articolo dell’esperto di shipping Jérôme de Ricqlès che illustra quelli che ritiene i principali punti caldi, fornendo per ciascuno un indice di rischio. Questo elenco non nasce da dati statistici, ma dalla sua conoscenza del mercato.
Il punto che attualmente mostra l’indice di rischio maggiore (8/10) è quello che comprende gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo e il Mar Nero e ciò non sorprende perché quest’ultimo è il versante marittimo della guerra in Ucraina, che proprio nelle ultime settimane ha visto bombardamenti da entrambe le parte sui porti, soprattutto su Odessa per quanto riguarda l’Ucraina e Sebastopoli nel fronte russo. “La minaccia maggiore è che un incidente militare sfugga di mano”, spiega Jérôme de Ricqlès.
Sempre con un indice di 8/10 c’è il Golfo di Guinea, in questo caso a causa di una “pirateria dilagante”. I mercantili possono subire attacchi non solo lungo le rotte costiere, ma anche in alto mare, perché i pirati si sono organizzati. Il rapporto 2022 dell’Imo mostra che il 71% degli eventi è avvenuto in acque internazionali, anche con abbordaggi che comportano il sequestro delle navi e dei loro equipaggi.
Nell’Estremo Oriente un’area di 8/10 è quella che comprende l’isola di Taiwan e il Mar Cinese, a causa delle tensioni geopolitiche che sorgono dalle rivendicazioni della Cina. Questo Paese non riconosce le Zone Economiche Esclusive della Convenzione Unclos “creando un rischio permanente di conflitto marittimo con i Paesi vicini”. L’epicentro è tra la Cina meridionale e Taiwan, dove le azioni militari cinesi stanno aumentando. “C'è il timore reale che una parte o l'altra commetta errori o passi falsi”, afferma Jérôme de Ricqlès ricordando anche che il Mar Cinese non è immune alla pirateria.
Un indice di rischio di 7/10 appare nel Golfo di Aden, che porta al Canale di Suez attraverso il Mar Rosso e che “incanala geograficamente le navi in una trappola perfetta, incastrata tra lo Yemen sulla sua sponda settentrionale, un Paese politicamente piuttosto instabile, e la Somalia a sud, teatro di numerosi conflitti armati tra clan”. Questo è un altro focolaio di pirateria, sia per l’instabilità della Somalia, sia per gli spazi ristretti di quelle acque. Per questo motivo, l’operazione anti-pirateria Atalanta dell’Unione Europea è stata prorogata al 31 dicembre 2024.
L’analista indica un indice di rischio di 5/10 alla navigazione invernale nell’Atlantico e nel Pacifico settentrionale e riguarda soprattutto il clima. Durante il periodo invernale le navi affrontano temperature molto basse e un mare molto agitato. Una situazione che riguarda soprattutto le portacontainer più piccole, comuni nelle rotte transatlantiche. Jérôme de Ricqlès segnala che dall’inizio del nuovo millennio stanno aumentando le perdite di container in mare. Il cambiamento climatico potrebbe peggiorare le condizioni di navigazione, ma nello stesso tempo i sistemi di navigazione e di previsione meteorologica stanno riducendo i rischi, così come alcuni provvedimenti presi dalle compagnie di navigazione.
Il Canale di Suez ha un indice di 4/10 perché attraversarlo con una portacontainer da 24mila teu (lunga 400 metri e larga 60 metri) “è come infilare il filo in un ago”. Un clamoroso avvertimento è stato lanciato dall’intraversamento della Ever Given, che ha completamente bloccato il canale per una settimana. Per Jérôme de Ricqlès “le collisioni sono ancora fin troppo frequenti nella zona” e dopo il caso della Ever Given sono avvenuti altri incidenti, seppure meno gravi. La situazione potrebbe migliorare con “una migliore formazione per i giovani piloti, nonché un uso più sistematico e obbligatorio dell’assistenza ai rimorchiatori”.
Un altro punto con indice 4/10 è lo Stretto di Malacca, dove transitano le portacontainer in viaggio tra oriente e occidente attraverso Singapore. Da qua passa il 35% del traffico marittimo di container mondiale. Per Jérôme de Ricqlès il principale pericolo è proprio l’elevato traffico di navi, “che crea una sorta di collo di bottiglia permanente”. In quel braccio di mare coabitano diversi tipi di navi di tutte le nazionalità, dai pescherecci alle grandi portacontainer, che devono viaggiare lentamente. Ciò incoraggia la pirateria. Nello Stretto di Malacca e Singapore sono stati registrati nel 2022 più della metà degli incidenti, che avvengono soprattutto nelle zone alle due estremità dello stretto.
In Europa, un’area di rischio (seppure piuttosto ridotto, con indice 3/10) è il Solent, ossia l’accesso al porto britannico di Southampton, che presenta una navigazione “complessa”. Infatti, precisa Jérôme de Ricqlès, “in condizioni meteorologiche avverse, forti venti e correnti riducono la manovrabilità, che è già limitata dalla geografia della zona”, dovuta a numerosi speroni rocciosi e al “tappo” causato dall’Isola di Wight all’imboccatura del porto. Al tempo dell’Impero britannico ciò costituiva un vantaggio per la flotta militare, mentre oggi è un ostacolo allo sviluppo del trasporto container, tenendo conto che vicino opera il porto francese di Le Havre, che viceversa ha un buon accesso per le navi.
Sull'altro lato dell’Atlantico, le coste settentrionali del Brasile mostrano anch’esse un indice di rischio di 3/10, a causa di una pirateria che Jérôme de Ricqlès definisce “artigianale” e che quindi oggi è un pericolo limitato per le portacontainer. Però questo fenomeno sta diffondendosi in Colombia e nei Caraibi, a causa della scarsa sorveglianza.
Poco più a nord, il Canale di Panama ha un indice di rischio di 2/10, dove gli incidenti gravi sono rari, ma “gli incidenti minori sono frequenti, soprattutto con le navi più grandi costruite secondo lo scartamento massimo del canale”. Dopo i lavori di ampliamento, che sono terminati nel 2016, possono transitare nel canale portacontainer fino a 14mila teu, però dall’estate 2023 la siccità ha ridotto il numero di navi che possono viaggiare giornalmente, provvedimento che dovrebbe durare almeno per un anno.