Unicredit Bank, in un rapporto firmato dal suo capo economista a Francoforte, Andreas Rees, ha approfondito l’attuale situazione del trasporto marittimo di container evidenziando come in questo momento, nonostante noli a livelli molto elevati, l’incidenza sui beni spediti appaia ancora tutto sommato limitata. Così come un rischio d’inflazione generato dall’elevato costo delle spedizioni fra Asia ed Europa per il momento non appare probabile.
“Assumendo che il costo del trasporto incide per il 5% sul valore totale delle merci spedite via mare (fonte Unctad), il prezzo delle importazioni europee potrebbe salire di un 2,3%. Questo però sarà vero solo nel caso in cui i noli marittimi dovessero permanere a livelli tanto elevati per un lungo periodo di tempo dice il rapporto di Unicredit. Se dovessero tornare a scendere per attestarsi su livelli più bassi, la questione sarebbe ancora meno sentita dunque”, egli scrive.
Andreas Rees domanda anche fino a che punto i produttori riusciranno a ribaltare sul consumatore finale questo extra-costo rispetto al passato: “Finora solo una modesta percentuale di inflazione sul prezzo finale dei beni sembra probabile, ma questo trend merita di essere tenuto attentamente sotto osservazione” è la risposta.
Unicredit Research evidenzia in generale che il costo dei trasporti via mare dei container dalla Cina all’Europa ha raggiunto livelli mai toccati prima d’ora con noli passati, secondo il Freightos Baltic Index, dai 2100 dollari di novembre ai 7800 dollari dei giorni scorsi. “In confronto il recente rafforzamento del cambio euro-dollaro è stato letteralmente una goccia nell’oceano”, sostiene il rapporto. Un grafico pubblicato nella ricerca mette a confronto la rotta westbound e quella eastbound rilevando come i noli dall’Europa alla Cina siano rimasti invece sostanzialmente stabili rispetto al 2019.
L’economista tedesco della principale banca italiana aggiunge: “Riteniamo che due siano i fattori principali dietro a questa impennata dei costi di trasporto: entrambe sono collegati alla pandemia e al secondo lockdown”. Il primo sarebbe riconducibile alla “elevata domanda di prodotti sanitari prodotti in Cina”, mentre il secondo, “probabilmente più importante, riguarda il fatto che i consumatori hanno modificato le proprie abitudini d’acquisto. Invece che andare al ristorante o in viaggio, hanno speso per acquistare beni durevoli per la casa come apparecchiature elettroniche, mobili e altro al fine di poter disporre di un ambiente domestico maggiormente confortevole e attrezzato. Molti di questi beni sono prodotti in Cina”.
Quali le macro-implicazioni per l’Europa? “La buona notizia è che i consumatori non hanno nascosto la testa sotto la sabbia e hanno cercato di andare avanti anche continuando a fare acquisti, quantomeno di una certa tipologia di prodotti. La brutta notizia ancora non si è materializzata”. Il rapporto di Unicredit Research conclude che, “nonostante i costi del trasporto marittimo elevati e un secondo lockdown, il business sentiment fra i produttori dell’Eurozona è peggiorato solo marginalmente nel mese di gennaio”.
Nicola Capuzzo