Dopo l'avviso, arriva l'avvio della procedura d'infrazione contro l'Italia sulla questione delle esenzioni fiscali concesse alle Autorità portuali. Con questo procedimento, la Commissione Europea vuole verificare se questi benefici sono conformi alle regole dell'Unione sugli aiuti di Stato. Bruxelles fa invece decadere un procedimento analogo contro la Spagna, perché il Governo si è impegnato ad abolire le esenzioni dal 2020. La questione è ben nota tra gli operatori del trasporto marittimo: la Commissione ritiene che anche le Autorità portuali debbano pagare le imposte, mentre l'Italia afferma che non essendo soggetti imprenditoriali ne sono esenti. In realtà, la Commissione Europea pone una precisa distinzione tra le attività non economiche - come quelle relative alla sicurezza e al controllo del traffico marittimo o alla sorveglianza antinquinamento - che rientrano nell'ambito di competenza delle autorità pubbliche e lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture portuali, tra cui pone la concessione dell'accesso al porto a fronte di una remunerazione, che considera attività economiche. Le prime non sono soggette alle norme sugli aiuti di Stato e quindi neppure alle imposte, mentre le seconde rientrano pienamente in tale normativa.
La tesi della Commissione è che l'esenzione dalle imposte per le società portuali che realizzano profitti da attività economiche può rappresentare un vantaggio competitivo sul mercato interno e pertanto comporta un aiuto di Stato che potrebbe essere incompatibile con la normativa dell'UE. "I porti sono infrastrutture essenziali per la crescita economica e lo sviluppo regionale", spiega Margrethe Vestager, Commissaria responsabile per la Concorrenza. "La nostra normativa in materia di concorrenza ne tiene conto e consente agli Stati membri di investire nei porti, creando posti di lavoro e tutelando la concorrenza. Allo stesso tempo, se gli operatori portuali generano profitti dalle loro attività economiche, tali profitti dovrebbero essere oggetto della stessa imposizione fiscale che grava sulle altre imprese soggette alla normale normativa fiscale nazionale al fine di evitare distorsioni della concorrenza".
Sulla base di queste considerazioni, nel gennaio 2019 la Commissione ha invitato l'Italia ad adeguare la sua normativa per assicurare che i porti paghino, a partire dal 1° gennaio 2020, l'imposta sulle società allo stesso modo delle altre imprese attive. Ma il Governo italiano ha respinto tale richiesta, affermando che le Autorità di Sistema Portuale non sono imprese economiche bensì regolatrici, quindi la Commissione ha deciso di avviare la procedura d'infrazione. Ora deve agire il Governo italiano, presentando a Bruxelles le proprie osservazioni, così come possono farlo terze parti interessate come beneficiari o concorrenti. La richiesta della Commissione Europea ha dei precedenti. Nel gennaio 2016 aveva invitato i Paesi Bassi a mettere fine alle esenzioni dall'imposta sul reddito delle società concesse ai porti marittimi pubblici olandesi poi lel luglio 2017 aveva invitato la Francia e il Belgio a mettere fine alle esenzioni dall'imposta sul reddito delle società concesse ai rispettivi porti. Queste decisioni sono state confermate dal Tribunale nelle cause T-160/16 (Paesi Bassi), T-673/17, T-674/17 e T-696/17 (Belgio) e T-754/17T-747/17 (Francia).
La Commissione conclude precisando che l'eliminazione dei vantaggi fiscali non significa che i porti non possano più ricevere contributi statali. In una nota chiarisce che "Gli Stati membri hanno numerose possibilità di sostenere i porti rispettando le norme UE in materia di aiuti di Stato, ad esempio al fine di conseguire gli obiettivi dell'UE in materia di trasporti o di realizzare i necessari investimenti infrastrutturali che non sarebbero possibili senza l'intervento pubblico. A questo proposito, nel maggio 2017 la Commissione ha semplificato le regole che disciplinano gli investimenti pubblici nei porti. In particolare, la Commissione ha esteso l'ambito di applicazione del suo regolamento generale di esenzione per categoria agli investimenti non problematici nei porti. Grazie a tale modifica gli Stati membri possono ora investire fino a 150 milioni di euro nei porti marittimi e fino a 50 milioni di euro nei porti interni nella piena certezza giuridica e senza previo controllo della Commissione. Il Regolamento autorizza ad esempio le autorità pubbliche a coprire le spese di dragaggio dei porti e delle relative vie di accesso. Inoltre, le norme dell'UE consentono agli Stati membri di compensare i porti per i costi sostenuti nello svolgimento di compiti di servizio pubblico (servizi di interesse economico generale)".
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