La Commissione Europea è tornata il 4 dicembre 2020 sulla questione delle imposte alle società che operano nei porti italiani, ribadendo la richiesta di abolire le attuali esenzioni dal 1° gennaio 2020. Questo è l’ultimo capitolo di una vicenda iniziata con un’indagine avviata nel 2013 su tutti i porti europei, da cui è emerso che nella maggior parte degli Stati membri le attività economiche dei porti, comprese quelle delle Autorità portuali, erano soggette al regime fiscale ordinario applicato alle imprese. Nel 2016, la Commissione ha cominciato a chiedere ai Paesi che non lo facevano di eliminare le esenzioni fiscali.
Il primo Stato a ricevere il richiamo è stato i Paesi Bassi, nel gennaio 2016, e l’anno successivo è stata la volta di Francia e Belgio. Tali decisioni, precisa Bruxelles “sono state confermate dal Tribunale nelle cause T-160/16 (Paesi Bassi), T-673/17, T-674/17 e T-696/17 (Belgio), T-747/17 e T-754/17 (Francia). Nel 2019 la Spagna ha accolto la richiesta e dal 2020 ai porti spagnoli si applica il regime d’imposizione ordinario”.
La Commissione ha inviato il primo invito all'Italia in tal senso a gennaio 2019 e nel dicembre 2019 ha avviato un’indagine approfondita per “accertare il fondamento delle sue preoccupazioni iniziali sulla compatibilità delle esenzioni fiscali concesse ai porti italiani con le norme sugli aiuti di Stato dell'UE”, come scrive nella nota del 4 dicembre. Al termine della valutazione, la Commissione “ha concluso che l'esenzione dall'imposta sulle società conferisce ai porti italiani un vantaggio selettivo, violando così le norme UE in materia di aiuti di Stato”.
La nota del 4 dicembre spiega che “l'esenzione non persegue un chiaro obiettivo di interesse pubblico, ad esempio la promozione della mobilità o del trasporto multimodale, mentre le Autorità portuali possono usare il risparmio d'imposta che ne deriva per finanziare qualunque tipo di attività o sovvenzionare i prezzi praticati dai porti ai clienti, a scapito dei loro concorrenti e della concorrenza leale”. E precisa che “se le Autorità portuali realizzano profitti grazie alle loro attività economiche, questi dovrebbero essere soggetti all'imposizione ordinaria prevista dalla normativa fiscale italiana per evitare distorsioni della concorrenza”.
La Commissione ha comunicato al Governo italiano di “adottare le misure necessarie ad abolire l'esenzione, in modo da garantire che dal 1º gennaio 2022 a tutti i porti si applichino le stesse norme fiscali che valgono per le altre imprese”, aggiungendo che “l'Italia e la Commissione continueranno a confrontarsi in modo costruttivo al riguardo”. La richiesta non è retroattiva perché questa esenzione risale a prima del 1958, anno in cui il Trattato è entrato in vigore in Italia, essendo quindi un “aiuto esistente”. Perciò il Governo non deve recuperare le imposte non versate in passato.
Per spiegare la sua posizione, la Commissione afferma che le Autorità portuali svolgono attività sia di tipo economico, sia di tipo non economico. Le seconde comprendono le attività di sicurezza e di controllo del traffico marittimo o di sorveglianza antinquinamento. Sono servizi pubblici cui non si applicano le norme UE in materia di aiuti di Stato e quindi non sono soggette a tassazione, mentre “lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture portuali – ad esempio la concessione dell'accesso al porto a fronte di un pagamento – costituisce invece un'attività economica. A questo secondo tipo di attività si applicano le norme UE in materia di aiuti di Stato”.
La Commissione precisa che la “eliminazione dei vantaggi fiscali ingiustificati non significa che i porti non possano più ricevere contributi statali”. Gli Stati devono però farlo “nel rispetto delle norme UE in materia di aiuti di Stato, ad esempio al fine di conseguire gli obiettivi dell'Unione nel settore dei trasporti o di realizzare i necessari investimenti infrastrutturali che non sarebbero possibili senza l'intervento pubblico”.
La Commissione ha semplificato le regole sugli investimenti pubblici nei porti nel 2017, estendendo l’applicazione del Regolamento generale di esenzione per categoria agli investimenti non problematici. “Grazie a tale modifica, gli Stati membri possono ora investire fino a 150 milioni di euro nei porti marittimi e fino a 50 milioni di euro nei porti interni nella piena certezza giuridica e senza previo controllo della Commissione”, afferma la nota, ponendo come esempio le spese per i dragaggi. Inoltre, “le norme dell'UE consentono agli Stati membri di compensare i porti per i costi sostenuti nello svolgimento di compiti di servizio pubblico (i cosiddetti ‘servizi di interesse economico generale’)”.
"Le norme UE in materia di concorrenza riconoscono l'importanza dei porti per la crescita economica e lo sviluppo regionale e consentono agli Stati membri di investire in questo settore”, ha dichiarato Margrethe Vestager, Commissaria per la Concorrenza. “Al tempo stesso, per tutelare la concorrenza, la Commissione deve garantire che eventuali utili generati dalle attività economiche delle autorità portuali siano tassati allo stesso modo degli utili delle altre imprese. La decisione odierna indirizzata all'Italia – come già quelle rivolte ai Paesi Bassi, al Belgio e alla Francia – ribadisce che concedere ai porti esenzioni ingiustificate dall'imposta sulle società falsa la parità delle condizioni concorrenziali e nuoce alla concorrenza leale. Queste esenzioni vanno quindi abolite".