In una lettera inviata ai vertici della compagnia di navigazione letta dall'agenzia Ansa Unicredit respinge "immediatamente e con forza" quelle che definisce "gravi e infondate" accuse arrivate da Moby. L'istituto, in qualità di security agent sia per gli istituti finanziatori sia per gli obbligazionisti, replica a sua volta con una possibile azione legale sottolineando nella missiva che "sono in corso analisi approfondite circa la valutazione del danno arrecato, nonché alla individuazione delle idonee azioni dirette alla tutela della reputazione" della banca, dei propri funzionari e "degli interessi dei propri soci".
Unicredit nella lettera a Moby ribadisce che "nessun addebito può essere fondatamente mosso" alla banca e quindi respinge "qualsiasi pretesa risarcitoria". A tale riguardo, prosegue l'istituto "non capiamo su quali basi possiate imputarci una responsabilità per i danni derivanti da possibili vostri inadempimenti nei confronti di Dfds, posto che avete negoziato termini e condizioni in totale autonomia senza tener conto dei tempi dell'istruttoria dovuta per la liberazione delle garanzie. Istruttoria peraltro da compiere in un momento in cui vi era grande attenzione da parte dei creditori sulla situazione del gruppo".
Unicredit, nel ripercorrere le fasi della vicenda, ricorda che in qualità di security agent si "è immediatamente attivata per la fase di istruttoria funzionale alla delicata e complessa valutazione, attivando anche la consultazione con le banche finanziatrici" e ricevendo il 17 ottobre 2019 "formale diffida da parte dei bondholder a non liberare le ipoteche sulla Moby Wonder e la Moby Aki". La missiva di Piazza Gae Aulenti prosegue spiegando che "l'istruttoria è proseguita in maniera serrata, anche per il tramite dei rispettivi consulenti legali che si sono incontrati anche il 25 ottobre per ribadire, integrare e condividere la lista di informazioni - già richiesta il 18 ottobre e pressoché ignorata - e i documenti necessari per consentire la valutazione". Infine il "27 ottobre la società ha comunicato alla banca l'elenco dei chiarimenti che era disposta a fornire e i tempi necessari per fornirli. Purtroppo la decisione dell''armatore danese Dfds è stata assunta e comunicata il giorno dopo e al riguardo comprendiamo la vostra frustrazione e ne condividiamo il dispiacere".
Unicredit afferma dunque che si trovava nella "ovvia impossibilità di poter vagliare le richieste" di liberare l'ipoteca sulle navi da vendere alla compagnia danese Dfds. A sostegno della propria tesi la banca cita il decreto del Tribunale di Milano in cui si legge che la compagnia controllata dalla famiglia Onorato si trova in una "situazione di crisi evidente". Per l'istituto era quindi doveroso "chiedere chiarimenti agli organi societari di Moby circa la situazione economico finanziaria della società, circa l'intenzione di assumere i provvedimenti richiesti dal tribunale e ulteriore conforto anche con esperti terzi sulla congruità del prezzo di vendita delle navi oggetto delle richieste (di liberazione delle ipoteche, ndr) e delle navi" da acquisire con i proventi della vendita.
Nel mirino, a questo punto finiscono anche le valutazioni delle navi fatte dalla società di brokeraggio navale Unitramp di Napoli perché, secondo Unicredit, chiarimenti erano "dovuti, considerando che il prezzo di vendita delle navi era di 137 milioni di euro, mentre il valore di quelle navi evidenziato nel piano del 2018 (...) era di euro 190 milioni". Inoltre, "la recentissima perizia Brax evidenziava un valore di 157 milioni e mancava qualsiasi perizia indipendente circa le navi in via di acquisizione, nonché la stima di eventuali costi/investimenti sulle stesse". Secondo la banca era dunque "evidente" la necessità di "avere e valutare attentamente tali informazioni, trasmetterle ai propri mandanti e poi prendere una decisione consapevole e informata in adempimento dei basilari doveri di diligenza nell'esecuzione del mandato".
Nicola Capuzzo
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