Il 2 febbraio 2022 la Corte di Giustizia Europa ha chiuso la lunga e tortuosa pratica sul cartello dei prezzi attuato da alcuni costruttori di veicoli industriali dal 1997 al 2011 e che ha comportato una sanzione complessiva emessa dalla Commissione Europea di quasi tre miliardi di euro. Era rimasta in sospeso la posizione di Scania, che ricevette il 27 settembre 2017 una multa di 880,523 milioni di euro, contro cui il marchio svedese (controllato da Treton) aveva presento ricorso proprio alla corte di Giustizia europea. Con la sentenza del 2 gennaio, i giudici hanno respinto tale ricorso.
Il ricorso di Scania era incentrato sulla procedura “ibrida” adottata per Scania, che associa un procedimento di transazione e uno amministrativo ordinario. Scania aveva prima aderito a una trattativa con la Commissione Europea per una transazione, poi si era ritirata. Quindi la Commissione ha proseguito la transazione con gli altri costruttori, proseguendo l’indagine nei confronti di quello svedese. I giudici europei ritengono che il procedimento ibrido non implica (come sostenuto da Scania) una violazione del principio di presunzione d’innocenza, dei diritti della difesa o del dovere d’imparzialità.
In merito alla questione, la Corte Europea afferma che “la Commissione aveva sufficientemente dimostrato che i contatti collusivi intervenuti nel tempo a diversi livelli, in particolare al livello dirigenziale, tra il 1997 e il 2004, al livello inferiore della sede, tra il 2000 e il 2008, e al livello tedesco, tra il 2004 e il 2011, considerati nel loro complesso, facevano parte di un piano d’insieme volto alla realizzazione dell'unico obiettivo anticoncorrenziale di limitare la concorrenza sul mercato degli autocarri medi e pesanti nel SEE”.
Più precisamente, scrivono i giudici nella sentenza del 2 febbraio, “l'esistenza di collegamenti tra i tre livelli dei contatti collusivi emergeva dal fatto che i partecipanti alle riunioni erano sempre dipendenti delle stesse imprese, che esisteva una sovrapposizione temporale tra le riunioni tenutesi ai vari livelli e che esistevano contatti tra i dipendenti al livello inferiore delle rispettive sedi delle parti dell'intesa e i dipendenti al livello tedesco. Inoltre, la natura delle informazioni condivise, le imprese partecipanti, gli obiettivi e i prodotti interessati erano rimasti gli stessi durante tutto il periodo dell'infrazione”.
Per quanto riguarda in specifico il costruttore svedese, la sentenza afferma che “l’asserita circostanza secondo cui i dipendenti della Scania al livello tedesco non sapevano di essere coinvolti nella prosecuzione delle pratiche intervenute agli altri due livelli o secondo cui i dipendenti della Scania che partecipavano alle riunioni al livello inferiore della sede non erano a conoscenza delle riunioni al livello dirigenziale non aveva alcuna rilevanza per quanto attiene alla constatazione dell'esistenza di un piano d'insieme. Infatti, la consapevolezza dell'esistenza di un piano siffatto deve essere valutata a livello delle imprese coinvolte e non a livello dei loro dipendenti”.