La sentenza numero 13511/2016 della Corte di Cassazione ha concluso una vertenza tra un autista serbo, rappresentato dal Sindacato di Base Multicategoriale, e l'Autotrasporti Multipli Arcese. La vicenda iniziò con un malore accusato dall'autista mentre era in servizio, cui seguirono lunghi periodi di degenza in ospedale e attività di riabilitazione, causando ripetute assenze dal lavoro. Dopo un anno, l'autista presentò in azienda un referto medico che riduceva l'idoneità lavorativa dell'autista. Quindi, la direzione dell'azienda lo licenziò, sostenendo che non poteva svolgere attività connesse all'autotrasporto.
Contro questo licenziamento, l'autista presentò un ricorso al Tribunale di Trento, con il sostegno del sindacato autonomo SBM. In primo grado i giudici confermarono il licenziamento. Questo verdetto venne però ribaltato dai giudici d'Appello nel dicembre del 2014. La nuova sentenza affermava che il lavoratore non era stato ritenuto completamente idoneo alla guida di veicoli pesanti, ma che doveva evitare servizi stressanti e rischiosi per la sua idoneità fisica. Quindi, i giudici imposero all'azienda di autotrasporto di reintegrare l'autista e di risarcirlo.
I vertici di Autotrasporti Multipli Arcese decisero di ricorrere in Cassazione contro la sentenza di Appello, ma hanno perso anche tale ricorso. La decisione si basa sul Decreto 42 del 2008, ossia il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro secondo cui il datore di lavoro "attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un'inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza".
In una nota, il Sindacato di Base Multicategoriale commenta: "Si tratta d'una decisione molto importante della Suprema Corte che, a sommesso avviso del sindacato, ha sancito come i diritti al lavoro e alla salute, in assenza di vere e proprie incompatibilità, siano preminenti rispetto al diritto di esercitare liberamente l'impresa economica privata, così restituendo dignità alla parte debole del rapporto di lavoro, ossia al dipendente".
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